OTTO GIGANTI NELLA PIANURA CAVOURESE
Un anno fa compivo questa approfondita ricongnizione a Campiglione Fenile, piccolo comune di undici chilometri quadrati nella pianura pinerolese prossima a Cavour. Grazie all’Associazione Ecovolontari Rivaltesi tornavo a visionare i grandi alberi di Campiglione Fenile. In Homo Radix (2010) avevo celebrato la straordinaria bellezza dei due platani bicentenari, ribattezzandoli Gli Imbronciati. In Le bocche di legno (2011) ne ho misurato le dimensioni e aggiunto un itinerario per cercatori di alberi, delineando i confini di questa geografia alberale al Campo dei Miracoli, ovvero al campo che presenta questi due, diversi liriodendri, pini neri e quella che avevo classificato come farnia (Quercus robur). A questo patrimonio si aggiungono altri due bellissimi alberi: il più grande liriodendro della regione, che svetta nel giardino del Castello – l’unico albero di Campiglione incluso nella galleria di monumentali del volume Alberi monumentali del Piemonte curato dalla Regione Piemonte, alcuni anni orsono – e la bellissima Noce del Caucaso che respira di fronte alla chiesa parrocchiale, coprendo con alcune branche la strada che porta verso Cavour e Saluzzo. Si visitava la proprietà accompagnati dall’uomo che fisicamente si occupa di curare questo campo e parte della vasta proprietà dei Marchesi San Martino di San Germano.
Si partiva dalla grande Pterocaya fraxinifolia o Noce del Caucaso che ricopre la parte settentrionale del prato di fronte alla parrocchiale di San Giovani Battista. 556 cm a un metro da terra prima della divaricazione del tronco in quattro branche, la principale delle quali, quella centrale, misura 400 cm di circonferenza. Venti metri di altezza e altrettanti di chioma. Uno spettacolo la decorazione estiva, con le migliaia di infiorescenze pendenti e le lunghe foglie verde brillante. A Torino ve ne sono diverse di dimensione prossima ma nessuna mostra uno sviluppo delle ramificazioni così contorto e ampio.
Da qui si procedeva per il palazzo che c’è di fronte, Villa Luserna, in stile neoclassico, con grande cancellata in ferro. Parte di questa cancellata è stata rifatta dopo il crollo di alcune branche di un grosso albero che svettava accanto la strada. Il Campo dei Miracoli, come l’ho ribattezzato, sta sulla destra rispetto la facciata della Villa. Noterete l’alta chioma verde sui venticinque metri e tre alti e massicci tronchi di Pino nero o Pino d’Austria, sui ventidue-ventitrè metri di altezza, con i tronchi a grosse scaglie bianchissime. Si vedevano da vicino, e toccavano, il liriodendro che sta all’ingresso del campo, che avevo sempre osservato dalla piazza. Il tronco presenta diversi funghi, un brutto segnale. Ad una ventina di metri di distanza sorgono un’altra coppia più giovane di liriodendri, anche questi malati: probabilmente il terreno è eccessivamente umido. Misuro la circonferenza: 557 cm! E’ più grande della stima che avevo proposto nell’itinerario, fra i quattro e i cinque metri. A sette metri iniziano le ramificazioni laterali. E’ un albero spettacolare da lontano, meno da vicino. Si transitava sotto le fronde di un faggio asplenifolia, a foglie di felce, con un raggio della chioma fra i sette e gli otto metri. Si giungeva ad un albero che avevo già notato, visitando il campo dalla parte opposta, ma che non avevo mai classificato. I tronchi sono obliqui, sdraiati a terra. Raccoglievo un soroso, una sfera cerebriforme che ne rappresenta il frutto; cinque centimetri di diametro, circa. Trattasi di gelso del Texas (Maclura pomifera), importato in Europa a metà del XIX secolo. L’albero non è nulla di che ma i sorosi colpiscono la fantasia. Ciascuno di noi ne raccoglieva uno e se lo metteva in tasca.
Si arrivava nella parte del campo che conosco a menadito. I due platani (Platanus hispanica o x acerifolia) si nascondevano sotto un’enorme sfera di foglie, bisogna arrivare sul limite della chioma per capire quanta meraviglia pulsi qui sotto. Uno dei visitatori ammetteva di transitare sulla strada sterrata che corre lungo il confine, a trenta metri da questi due alberi, e di non averci mai fatto caso. E’ un’osservazione che mi ha fatto pensare. Restavamo come al solito stravolti dall’ampiezza e dal numero di lunghissime branche che partono dai due tronchi e si allungano per dieci, dodici anche quindici metri, fino a toccare terra e trascinarsi per diversi metri. Il nostro ospite ci diceva che soltanto venti anni fa nessuno di questi rami toccava terra, i bambini, quando ancora non esisteva l’attuale recinzione, venivano qui e si appendevano sopra i rami che stavano sospesi a circa un metro, un metro e mezzo da terra. Riporto le misurazioni dei due tronchi: 600 e 768 cm di circonferenza ad un metro e trenta. Il maggiore è, insieme al Platano di Napoleone di Alessandria, il maggiore della regione.
Faticosamente ci allontanavamo per arrivare ai piedi dell’altro gigante. Pochi giorni prima avevo visitato l’arboreto dell’Orto botanico di Torino dove avevo incontrato un albero di una specie che non conoscevo: la Pterocarya stenoptera. Non avevo mai approfondito le caratteristiche inerenti le diverse specie esistenti di Pterocarya, pensavo esistesse soltanto una specie, la fraxinifolia. Invece ne esistono ben sei, quattro di origine cinese, una giapponese e la più nota e diffusa che è la Noce del Caucaso, come quella incontrata all’inizio di questo percorso. Notavo subito che le fronde di quella che in inverno avevo classificato nella voce Farnia presenta foglie molto particolari, simili a quelle di un noce, e con lunghe e sporadiche “liane” composte, semi alati. Sono questi grappoli pendenti che si notano in inverno, appesi, bruniti, rinsecchiti. Ma questo albero, l’inverno precedente, era completamente spoglio. Inoltre la sua corteccia è molto particolare e fessurata, brunastra. E’ una Noce della Cina. Le sue dimensioni sono monumentali: 612 cm di circonferenza del tronco, oltre venti metri di altezza, due branche che alla base dell’albero si allungano e moltiplicano nello spazio disegnando le geometrie goticheggianti di enormi mani lignee. Uno spettacolo fra i più sensazionali che la natura offra in Piemonte.
A questo punto si tornava nel centro del paese. Si raggiungeva la piccola piazza Marchese Casimiro di San Germano, dove c’è l’ingresso al parco privato, interno, che occupa l’aria retrostante di Villa Luserna.
Un ampio prato, un bosco nel quale spiccano la chioma di un Fagus sylvatica pendula e di un alto tassodio, sul limite di uno specchio d’acqua popolato di ninfee. Due enormi tronchi “rasi” al suolo. Qui svettava la grande farnia monumentale che era segnalata, negli anni Ottanta, nell’elenco dei monumentali redatto dal Corpo Forestale dello Stato. Questo e un albero di dimensioni prossime sono stati abbattuti poiché corrosi internamente da carie. Il giardino ospita alcune sorprese. Un noce (Juglans regia) di 500 cm di circonferenza, alto dieci metri, che si divarica in due branche a cinque metri circa; l’albero è purtroppo malato, alcune ramificazioni sono capitozzate e alla base le radici stanno marcendo, tanto che si notano diverse depressioni nel terreno. Il tronco porta anche le cicatrici di due altre branche precipitate diversi anni addietro, a causa di nevicate abbondanti nel corso della seconda metà degli anni Ottanta. Tre faggi pendula. Tre cipressi calvi, due dei quali alti circa diciotto metri. Gli immancabili pneumatofori, le radici che a questi alberi occorrono per respirare, sulla costa del laghetto artificiale. Querce rosse americane. Lagerstroemia di due specie delle ventisei esistenti.
Proseguendo e superando un ponticello sul canale che alimenta il laghetto si arrivava ad un albero molto interessante. Si tratta di un esemplare monumentale di Sophora japonica, uno dei maggiori d’Europa. L’albero è sui quindici metri di altezza e curiosamente presenta un grande foro centrale, completamente ricoperto di mastice. Mi avvicino e devo constatare che qualcuno è riuscito nell’impresa di compiere qualcosa che non credo di aver mai visto: girando intorno all’albero si nota una fessura allungata. Tocco. E’ duro, quasi cemento. Ritorno dalla parte opposta e mi accorgo che non si tratta di mastice bensì di cemento! E dalla cima si vedono spuntare dei mattoni. Da non credere… comunque l’albero ha retto. Il tronco poderoso è di 418 cm di circonferenza a petto d’uomo. L’unica sofora di dimensioni prossime che ho visto nel Nord-Ovest si trova sempre nel pinerolese, nel parco comunale di Buriasco.
Uscendo sulla piazza si vedeva di rimpetto la cancellata del parco del Castello dei Conti Battaglia. Due cani ci correvano incontro nella loro agitazione. L’enorme chioma del monumentale Liriodendron tulipefera di quaranta metri che svettava nella zona occidentale del giardino resta l’unico albero che non ho visto e toccato da vicino, in questa terra di miracoli arborei.
[Un itinerario completo ai giganti di Campiglione Fenile è pubblicato in La linfa nelle vene]
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