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La cura del mondo è la cura di ogni silenzio
In Australia gli aborigeni che abitano il deserto di Gibson rivestono i rami degli alberi con lunghi fili colorati di cotone. Un’amica me ne ha portato uno, di ritorno da una residenza di alcuni mesi svolta fra diverse cooperative di artisti con nomi quali Papunya, Patjarr, Kayili. È storto e non sta in piedi. In effetti non è un albero, piuttosto un ramo. Tutte le volte che lo guardo mi commuove. Anche in una terra arida e ingenerosa la mente di una persona cerca di proteggere quel poco che la natura sa offrire. Per noi un ramo secco è niente, lo bruceremmo, lo getteremmo via, lo spaccheremmo giocandoci, lo scalceremmo. Invece qualcuno l’ha scelto e l’ha raccolto, l’ha pulito e l’ha vestito, per non fargli prendere freddo. Ora è qui, dall’altra parte del mondo, con una persona che non ha mai messo piede in quel continente e non ha mai scambiato una parola, o uno sguardo, con la gente che l’ha realizzato. Chiunque ne può ammirare la delicatezza dei colori, lo può accarezzare e ne può sorridere. Non è altro che un ramo secco strangolato da una matassa di fili di cotone.
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