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Voci e opere nella poesia contemporanea
La poesia che tento di praticare ha radici in quei sentieri dell’oceano afforestato della carta scritta e stampata che ha tentato, anzitutto nella lingua inglese, di aprire, di rinnovare, il verso che qualcuno ha ribattezzato “libero”. Talvolta ampliandolo sulla riga, spingendolo a moltiplicarsi, nei termini, nell’articolazione, nel respiro, talvolta adottando architetture più ampie, cercando insomma di fare della poesia qualcosa di ultra-poetico. In molti hanno navigato le antiche forme del poema, altri hanno raggiunto il parente narrativo più stretto, ovvero il romanzo in versi. Un’operazione analoga è stata tentata nel teatro, estroflettendo il testo, il dramma, la pièce, nella drammaturgia in versi, forme che ancora oggi hanno diversi epigoni ed esploratori.

A seguito segnalo alcune opere che hannoattribuito valore e nutrimento alle mie ore da lettore “accanito”, “inforestato”. In ordine di affetto, o quasi:
- Letter to an Imaginary Friend di Thomas McGrath, una immensità, non semplicemente un vasto poema in lingua inglese, bensì una lingua a parte;
- Paterson di William Carlos Williams, vasto poema americano;
- Freddy Neptune di Leslie Allan Murray, il Bardo del Bush, australiano;
- Montains and Rivers without End di Gary Snyder, poeta laureato del silvatico;
- Omeros di Derek Walcott, colui che ha incantato così tanti miei coetanei;
- Howl e Kaddish di Allen Ginsberg, quantomeno nell’alternanza dei linguaggi;
- Una maschera di scimmia di Dorothy Porter, da cui fu tratto un bel film;
- L’adozione della scozzese Jackie Kay, tre monologhi inversi intrecciati;
- Canto general di Pablo Neruda, un “must” dei miei vent’anni;
- Dove si ferma il mare di Yang Lian, splendida opera poematica cinese.
La passione per la poesia non si esaurisce ovviamente nella forma poematica. I nomi dunque di poeti e poetesse letti e ammirati sarebbero decine e decine. Mi accontento di ricordare figure quali John Berryman, W. S. Merwin, E. Bishop, Robert Lowell, Geoffrey Hill, T. S. Eliot, Ezra Pound (di cui volutamente non indico, per ragioni davvero troppo lunghe da illustrare in questa sede, i Cantos), J. Kerouac, Wallace Stevens, Marianne Moore, W. H. Auden, Heiner Mueller, Arsenij Tarkowskij, Jacques Prevert, Boris Pasternak, Rolf Dieter Brinkmann, Alejandra Pizarnik, Paul Celan, Philip Larken, Ted Hughes, Adam Zagajewski, Wendell Berry, José Watanabe. Il maestro della poesia agreste novecentesca americana, Robert Lee Frost, la poesia sapienziale di Rabindranath Tagore (anzitutto Gitanjali e Il paniere di frutta), gli incendi e le geometrie e le splendide immagini folgoranti della poesia del gallese Dylan Thomas, le epifanie quotidiane dell’espatriato Emanuel Carnevali. E non dimenticherei, per concludere, due anticipatori ottocenteschi: Walt Whitman (Leaves of Grass) e Herman Melville, autore quest’ultimo, negli ultimi anni della sua vita, di un vasto viaggio spirituale in Terra Santa dal titolo Clarel, poema in diciottomila versi, pubblicato a proprie spese in 350 copie nel 1876, la maggior parte delle quali finite drammaticamente al macero.
Per quanto concerne il panorama italiano debbo tanto alla lettura del corpus poetico di Pier Paolo Pasolini, Guido Gozzano, Elio Pagliarani, Mario Luzi, Giorgio Caproni, Alda Merina, Amelia Rosselli, Andrea Zanzotto, Vittorio Sereni, Giovanni Raboni, Giovanni Testori, i più attuali Giuseppe Conte, Fabio Pusterla, Antonella Anedda, Nevio Spadoni, nonchè alcune voci dell’attuale poesia piemontese che ho conosciuto e navigato negli anni del Festival e delle Edizioni Torino Poesia (Beppe Mariano, Remigio Bertolino, Claudio Salvagno, Carlo Molinaro). Il lavoro poetico e drammaturgico di Mariangela Gualtieri (Fuoco centrale), i percorsi sottili di Ida Vallerugo (Stanza di confine), Valeria Rosselli (Il luminaio e La città di Kitez) e Paola Loreto che legano la poesia italiana degli ultimi anni ad altre voci femminili di respiro europeo, quali Agota Kristof (Chiodi), Leta Semadeni (La mia vita da volpe), Ana Blandiana (Un tempo gli alberi avevano gli occhi), Nina Cassian ed il Premio Nobel Wyslawa Szymborska.
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Una delle più grandi sorprese è stata la lirica di Thomas McGrath (1916-1990), figura in Italia non pervenuta ma per me pietra focale di costante paragone-ispirazione. La sua poesia è pubblicata negli Stati Uniti dalla Copper Canyon Press, sorta di mecca per gli appassionati di poesia, co-fondata da quel Sam Hamill che ho avuto l’onore di considerare anche un lettore delle mie poesie tradotte in quella parte di mondo. A McGrath debbo una delle più commoventi definizioni di arte e poesia, che lui rilasciò quando fu chiamato, nel 1953, sulla scomodissima seggiola degli imputati di collaborazionismo col comunismo e l’Unione Sovietica, durante la caccia alle streghe voluta dal senatore McCarthy: «In qualità di poeta devo rifiutare di cooperare con la commissione su quelle che posso soltanto chiamare considerazioni estetiche. La visione della vita che riceviamo attraverso la grande opera dell’arte è un privilegio – è una visione della vita in accordo con probabilità e necessità, non soggetta alla scelta e al caso imposti dalle nostre esistenze reali, tuttavia in un senso più concreto rispetto a quel che riconosciamo intorno a noi.» Sui temi della poesia di questo poeta immigrato inizia ad essere stato scritto molto, ma valga quel che «The Washington Post» annunciò nel necrologio: «Marxist poet Thomas McGrath died on Sep 19, 1990 at the age of 73», ossia «poeta marxista.» Per altri critici ha incarnato la figura del poeta “radicale”. Cresciuto nella vasta provincia delle cooperative agricole che cercavano di contrastare banche e lobbies, fu poi saldatore ai cantieri navali e sindacalista a New York. Combattè nella seconda guerra mondiale e rientrato negli Stati Uniti iniziò a lavorare nel settore della sceneggiatura per documentari. Ne ho scritto in articolo uscito sulle pagine de «Il Manifesto» ed è un poeta a cui guardo con costanza. Ogni tanto ne traduco alcune poesie. Nella sua poesia c’è attenzione per la condizione degli uomini e delle creature, si avvicina a quella che in quanto figlio della terra, della grande pianura padana e dei territori prealpini, percepisco così intimamente e prossima.
Materiali utili
- Thomas McGrath – I versi nel labirinto di un mondo disumano (leggi qui) (articolo apparso su Il Manifesto)
- Sentiero Dogen – Altra sorgente fondamentale è il pensiero dei padri spirituali, del taoismo, del buddismo e del cristianesimo; particolare attenzione presto al messaggio e alla pratica coniati da Eihei Dogen Zenji, maestro giapponese del XIII secolo di cui ho tradotto alcune poesie (leggi qui)