I DISPERATI DEL JACK DANIEL’S

UNA POESIA DA AGRESTE
Agreste. Silvario in versi e radici
Editore Piano B
 
 
I DISPERATI DEL JACK DANIEL’S
 
I disperati del Jack Daniel’s amano sostare
sulle panchine del lungofiume, attendono
la sera che li rinfresca dopo un giorno
di spilli ardenti, amano assistere alla prima
composizione del giorno, nei loro occhi sempre
lucidi custodiscono un oceano scarsamente
navigabile, inconfondibile puzzo di piscio
e vino rosso, stoici pensionati senza pensione
e animatori di un teatro popolare che chiamano
Ascoltare i sermoni dei santi piccioni.
I poeti e qualche giornalista abbandonano
gli appartamenti eleganti nei quali sfoggiano
le loro letture, il culto della parola scritta
esibita quale verità assoluta del mondo naturale,
e vengono qui a rubacchiare quattro pensieri,
forse sono gli ultimi veri profeti: ridono, bevono,
inesorabili si annientano senza mai prendere
le parole sul serio, non potrebbero fare
diversamente, meglio un goccio buono
che restar qui a occuparsi di qualcosa,
le guerre purtroppo non finiscono mai.
Vedi gli alberi? Loro sì che sanno, gli alberi
non parlano non perché non abbiano la bocca,
gli alberi non hanno la bocca perché non
vogliono parlare, se potessero parlare ci
odierebbero, se gli alberi potessero davvero
parlare ci condannerebbero per come li trattiamo,
per come li incarceriamo in quelle misere
gabbie che chiamiamo vasi, provaci tu
a viverci la vita dentro un cubo di plastica!
Dai retta a me, è una fortuna che gli alberi
non possano dire niente, e nemmeno vedere,
e nemmeno pensare, gli alberi ci permettono
di fare quel che non siamo capace di fare
agli altri esseri umani, senza volerlo ci aiutano
a essere quei diavoli che non vogliamo essere,
loro ci insegnano chi siamo oltre le belle parole
 
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