Alberi e Poesia

UN PERCORSO POETICO
cucito tra cortecce e radici

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Tiziano Fratus ha trovato pace tra i boschi e le foreste, ha attraversato centinaia di parchi, riserve, orti botanici, giardini storici, ha meditato nel cuore delle sequoie millenarie e di ulivi e castagni cavi, ai piedi di larici e pini cembri, ficus maestosi e molti altri giganti silenziosi. La sua poesia ne ha tratto spesso ispirazione mescolando sangue e linfa, immaginazione e concretezza. A sequire alcuni dei testi che ne sono scaturiti e che Fratus spesso ha letto e legge durante gli incontri coi lettori. Una buona lettura.

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Alberi boschi foreste e… poesia

Gli alberi anzitutto sono un mistero, manifestano qualcosa di grandioso che possiamo lentamente disvelare ma mai del tutto, qualcosa che (ci) resta intangibile, innavigabile, incomprensibile. Eppure è questo intreccio che ci attrae, che ci piace, che ci galvanizza, che semina nella nostra immaginazione e sgrana molti dei nostri pensieri, ne scioglie i nodi, che ci può snervare e guarire.

 

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Da adulti, da orfani di tante dimensioni, e così presi da noi stessi e dalla nostra “hystoria”, ritroviamo noi stessi in quel mondo altro che sarebbe la Natura. Iniziamo ad abbozzare una nuova residenza, un nuovo nido, una nuova fase del nostro sentire. Ma non senza problemi e senza inciampi.

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Poi giunge la meditazione, quel farsi silenzio che tenta di imitare la staticità, la fissità, l’immobilità degli alberi, ovviamente situazioni illusorie e provvisorie. Soltanto macinandosi nei boschi, in solitudine, nel silenzio cantato di questi ambienti colmi di vita e di morte, lentamente si precipita, si intuisce, si inizia a percepire con nuovi occhi e a vestire la realtà attraverso nuovi sensi.

Dunque ci si rimette in marcia, perchè quel bosco che tanto abbiamo cercato era già dentro di noi, era già una parte di noi. E allora ricominciamo a perlustrare, a incontrare, a setacciare, ma questa volta che cosa conosceremo?

E ancora non basta: il ritorno alla vita ci disarma, ci confonde, ci rimescola e piano piano inziamo ad accettare queste due nature, questo non combaciare tra l’uomo che siamo, appartenenti ad un tempo, e l’uomo che forse vorremmo diventare, spesso un’idea del passato o una macchinazione per un futuro eventuale; talvolta ci sentiamo in armonia, talora per niente.

Ma che cos’è questa voce che noi, presuntuosamente, crediamo di sentire? Chi parla quando siamo seduti e raccolti tra gli alberi che ci circondano? Siamo davvero così sicuri di sentirli o è tutta una fantasia? E’ la nostra voce che si traveste? Oppure è davvero qualcosa di estraneo, di non umano, che ci raggiunge e noi cerchiamo di decifrarlo, d’interpretarlo?

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