La parabola zen della montagna

UN RACCONTO BUDDISTA

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La lettura dei racconti di monaci buddisti nonchè le raccolte di frasi celebri, di koan, dialoghi inarrivabili, la vita di eremiti, monaci e abati, tutto un mondo a parte di cui Tiziano Fratus si è nutrito per diversi anni, alimentando la sua scrittura in versi e in prosa; forse il frutto più maturo è un racconto, La parabola zen della montagna, pubblicato nel silvario spirituale Sutra degli alberi (Piano B), ma anche testo letto durante le sessioni del Teatro Bosco Fosco.

Una buona lettura e per coloro che sono interessati un buon ascolto.

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La parabola zen della montagna

Tempo fa viveva un maestro rispettato e venerato, dirigeva un importante tempio nella capitale, e per alcuni era addirittura il più grande maestro zen dell’epoca. Severo ma corretto, conoscitore delle parole dei Patriarchi ma disponibile con chiunque, vestiva nel modo più semplice possibile. Aveva molti allievi, anche nobili, samurai e intellettuali, e fra questi figurava nientemeno che l’imperatore che partecipava ai ritiri e veniva ad ascoltare i suoi sermoni. Un giorno però il monaco decise di andarsene, intendeva seguire la regola antica che prescrive di trascorrere parte della propria vita in un eremo di montagna. Così, una mattina, si è alzato, ha sistemato le sue poche cose e si è diretto alla porta d’ingresso del tempio, senza proferire parola. Non amava gli addii e non informò nessuno della sua scelta. Un profondo inchino verso la sala del Dharma, dove troneggiava una grande statua dorata, e nei suoi sandali si è avviato lontano da qualsiasi centro urbano.

Si racconta che si sia recato su una montagna che supera di poco i mille metri di altezza, dove alcuni decenni prima aveva consumato le sue giornate un eremita che era stato anche maestro del suo maestro, un poeta che aveva lasciato alcune poesie incise sulle cortecce degli alberi. Risalendo i sentieri se ne incontra ancora qualche d’una, nel cui solco i vagabondi delle generazioni di mezzo fra la sua e quella dell’eremita hanno passato il capo di un bastone, la punta di un sasso acuminato, la lama di un coltello da pastore, per non dimenticare i segni di quella voce inlignita fra le resine dei pini.

Anni dopo, nello stesso tempio che il monaco ha abbandonato, un giovane praticante vuole diventare un grande maestro. Alto, bello, figlio di un ricco mercante di kimono, la sua cultura è solida, il suo carattere sfrontato. Parlando coi monaci e con l’abate viene a sapere che il più importante maestro del tempo abita in completa solitudine e povertà. Un giorno egli si alza di buon’ora e si avvia verso la regione al cui centro s’innalza la montagna del maestro. Dopo diversi giorni di passo deciso il ragazzo raggiunge il profilo del monte, chiede informazioni al villaggio più vicino ma nessuno sa indicargli con precisione dove si trovi il rifugio del monaco. Più che una montagna si tratta di un massiccio montuoso, con una vetta principale ma diverse altre cime. Il giovane fa scorta di cibo e risale i sentieri, arrivando alla cima percorrendo tre diverse vie. Incontra cervi, daini, cinghiali, tanti tipi di uccelli, qualche volpe, i resti di un cane forse divorato dai lupi, e altri animaletti ma nessun uomo. Affonda le sue mani svelte nelle acque gelide dei torrenti e si abbevera. Dorme dove gli capita, sotto le fronde profumate e le costellazioni di stelle, cammina quando è in forza e riposa quando il suo corpo è stanco.

Finalmente, risalendo la montagna lungo una quarta via, scorge una casupola di legni e canne, si avvicina e chiama. Nessuna risposta. Così spalanca la porticina, affaticando gli occhi inizia a scorgere la figura di un piccolo uomo seduto nella posizione del loto, come il Buddha Sakyamuni, la testa lucida e madida a causa dell’afa, due baffetti grigi, sottili, spioventi e spinosi ed una barba incolta.

Sei tu il più grande maestro del nostro tempo?

L’uomo non risponde, anzi non si muove affatto.

Allora?! Sei tu o non sei tu? Rincara la dose il giovane monaco.

A questo punto l’anziano apre gli occhi e inizia a fissare il ragazzo con un sorriso.

Certo che no, risponde.

E dimmi, allora, vecchio: chi è secondo te il più grande maestro vivente?

L’uomo allunga le gambe, si alza e si sgranchisce. Invita il giovane a seguirlo. Escono e si avviano tra gli ultimi alberi verso la cima della montagna. Il ragazzo nota quanto l’abito dell’eremita sia logoro, impolverato e rattoppato, un tempo era stato nero. Anche l’odore che emana non è dei più raffinati e piacevoli, non certo come il suo abate al tempio. Arrivati dove ogni altra cosa si ritrova sotto la loro testa, il vecchio monaco si rivolge al giovane e chiede: Che cosa vedi?

Vedo la valle.

E poi?

Vedo gli alberi.

E poi?

Vedo le nuvole, le altre cime, il cielo, il sole, i fumi dei camini del villaggio.

Tutto qui?

Vedo il mondo.

Null’altro?

No.

Allora il monaco anziano si avvicina, posa una mano sulla spalla del giovane e dice: Vedi, tanti giovani come te, pieni di forza e di speranza per il futuro, colmi delle loro grandi idee, salgono quassù e si credono i padroni della montagna. Per un giorno tu sei il padrone della montagna, così come ieri lo credeva un altro. Così l’ho creduto anch’io quando sono venuto qui per la prima volta. Fra sette lune lo crederà un altro pellegrino ancora. Nessuno però è padrone di questa montagna, la montagna, vedi, non ha padrone.

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Ascolta il racconto, durata lettura: 5 minuti e 30 secondi.

LA PARABOLA ZEN DELLA MONTAGNA

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