Un’Italia arbomonumentale

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LA FORESTA E’ UN’IDEA E UN’ESPERIENZA

Casa del leccio – Per un’Italia arbomonumentale
Tiziano Fratus

Lunghe stagioni di meditazione in natura mi hanno educato a considerare il bosco come un ambiente che supera i confini fisici, tanto che, come già annunziavano misticamente i patriarchi del pensiero spirituale in ogni parte del pianeta, alcuni decenni orsono quanto prima della nascita di nostro Signore Gesù Cristo, il miglior modo di contemplare una foresta è ad occhi chiusi: una foresta la puoi misurare, la puoi disegnare, la puoi fotografare, la puoi respirare, attraversare, incendiare, devastare, contenere, dimezzare, moltiplicare, la puoi coltivare, abbandonare, rabberciare, illustrare, suggerire, fischiare, la puoi amare, adorare, scalare, ma non la puoi dimenticare. Perché c’è un pensiero che non può più tornare indietro, una volta raggiunto il cuore della foresta qualcosa di tuo resterà per sempre lì dentro, e un pezzo della foresta resterà sempre in te; così la rivedrai, la risentirai, ogni qual volta socchiudendo le palpebre tu ci ritornerai.

La foresta è un’idea ed è al contempo un’esperienza, è una riserva da proteggere con leggi, azioni, proibizioni, tecniche, fatiche, cultura, ma è anche una geografia mentale, una proiezione, un continente vasto e illimitato dove possiamo pescare, ad ogni nuova generazione, un pezzo di quell’anima che ci unisce al mondo, al cosmo, all’universo, che ci conduce ad abbandonare la nostra minuta dimensione umana e particolare per un’adesione, anche soltanto ipotetica e momentanea, istantanea, a quel tutto vasto che avanza da un tempo prima del tempo, e che ci definisce oltre quel che ci occorre adesso, in questo stesso istante, o domani, o quando ne avremo bisogno. Ci sono ancora molte persone che credono che il pianeta sia a nostra completa disposizione, che sia nostro come nostra è la casa che ereditiamo, acquistiamo, arrediamo e rivendiamo. Così come posso comprare posso vendere, o regalare, dividere o ammucchiare. L’uomo però non possiede nemmeno la vita che dà così spesso per scontata, basta un niente, un piccolo movimento della crosta terrestre, un temporale intenso, un vento che superi i 200 km orari, un virus, una disattenzione altrui, e questa nostra vita, con tutto quel che la affastelliamo, svanisce. Uno schiocco, un battito di ciglia, ed è finita.

Ma d’altronde non bisogna dimenticare che quando si tratta di paesaggio tutto si agita nell’uomo tranne che l’innocenza. Della cosiddetta “invenzione della natura”, ad esempio, parliamone: l’uomo ha temuto la natura selvaggia perché era figlia di un Dio, di una divinità, di un sacro a noi sconosciuto e superiore, così l’abbiamo sradicata, abbattuta, estinta, oltraggiata, e poi ci siamo divertiti a tentare di ricrearla, ma non la natura così com’era, la natura ordinata, geometrica, selezionata, la natura di cui siamo diventati possessori, legiferatori, a nostro modo benefattori, proprio nel senso ontologico, fors’anche patristico del termine: il fare bene, il ben fare.

Nella fragile Italia attraversata da violenti conati di violenza, isteria sociale, razzismo e vampirismo di ogni tipo, c’è dunque forse tempo per riconciliarci alla natura, a quel terzo del paese che oggi è occupato da boschi, riserve, giardini storici e altri luoghi della pace e del ristoro, nonché in parte popolato da quel moderato selvatico che vi possiamo forse incontrare? Non sarebbe il caso invece di favorire uno sfruttamento per combattere la povertà e l’incertezza? Storicamente è proprio in periodi di instabilità e di estrema friabilità che gli uomini e le donne dotati di buona volontà si debbono impegnare per favorire un transito verso un futuro migliore, che non sia necessariamente legato ad uno sfruttamento estensivo, ad un manifesto sperpero delle risorse, ad un abbattimento colossale di boschi. Certo, più la natura prende spazio in un paesaggio tanto abitato più le problematiche di convivenza si amplificano. Si veda il caso dei grandi predatori carnivori, il lupo, l’orso.

Inoltre, prima o poi bisognerò riflettere sulle potenzialità di accoglienza del cresceste turismo di massa in natura, da parte delle nostre riserve, che non possono diventare sostituti di Gardaland e Disney World. Anche le nostre montagne reclamano maggiore attenzione, maggiore scrupolo, maggiore disciplina. L’attuale disponibilità dei luoghi sta portando ad un impatto molto negativo. In futuro l’andare in natura dovrà prevedere una forma di maggiore consapevolezza quanto di maggiore rigore e controllo; dovrà dunque sbocciare dall’attuale paese un’Italia anche arbomonumentale, nel quale esista la possibilità di conservare la biodiversità e questo dipenderà dall’estrema cura di tutti, dalla famiglia in visita la domenica all’azione ordinaria dei contadini, sebbene ne siano rimasti pochi, dal cicloturista al viandante in cerca di preghiera e meditazione. L’idea stessa di libertà totale e irresponsabile che oggi trionfa sarà obbligatoriamente da revisionare, riscoprendone la radice primaria, ovvero quell’essere libero che non danneggia nessun altro, quell’essere tutti liberi e dunque un poco meno non per rispettare un criterio, una legge punitrice, ma per evitare che la libertà diventi l’anticamera del deserto.

I grandi alberi che oggi abbiamo così bene documentato, che spesso vengono segnalati come i musei, le torri, i castelli, le rovine delle antiche civiltà, non sono soltanto singoli soggetti da ammirare: sono altresì sentinelle del tempo, esseri viventi che resistono e si adattano da centinaia di anni, e in talune eccezionali occasioni, da migliaia di anni. Molti si stanno ammalando, molti sono stati cancellati dall’incuria, dalla superficialità, dalla fretta, anche dall’eccesso di cura; ci vorrà probabilmente un cambiamento di mentalità per far si che l’uomo smetta di fare l’uomo, imponendosi, intestardendosi. Ricordando che se un albero ha raggiunto la veneranda età di 3500 o 5000 anni, non è grazie a noi, ma è grazie a quella materia che sa pensare dal principio del mondo, la stessa ragione che ha concepito il pianeta, che ha acceso la scintilla della vita, che ha modellato oceani, nubi, terre emerse, foreste primordiali, dinosauri e alfine, che ha partorito questo curioso animale pensante.

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Nelle edicole, fino al 31 dicembre: si celebra un anno di vita del settimanale °L’ExtraTerrestre°, inserto del quotidiano °Il Manifesto. Tanti autori, tanti approfondimenti. Buona lettura.

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