Alberi maestosi e secolari. E lo stupore diventa verde
Con l’«uomo radice» per un turismo lento e contemplativo
di PAOLO GALLIANI – IL GIORNO, Milano, venerdì 28 gennaio 2011, Turismo & weekend
MILANO – È un testardo. E con quel suo fisico, potrebbe essere un bretone, un irlandese o uno scozzese, uno di quei personaggi delle leggende celtiche di cui si diceva e si dice: «Quando la testa di uno di loro colpisce un menhir, è il menhir che si rompe». Già, la cocciutaggine. A vederlo, ai Giardini Montanelli di Milano, impegnato a prendere la circonferenza di un grosso albero che chiamano “quercia di Montale”, pare avere il cuore e l’anagrafe in un “mondo alla fine del mondo”. Invece è di origine bergamasca, vive in Piemonte, cita lo scrittore provenzale Jean Giono come fosse un dio tutelare, edita (Manifattura Torino Poesia) e pubblica volumi che elogiano la bella scrittura e la biodiversità. E quando deve dichiarare il suo amore, il suo oggetto del desiderio prende la forma di un albero monumentale, possente e tentacolare. Perché Tiziano Fratus è così: un “uomo radice”, come rivela il suo ultimo volume, il pregevole «Homo Radix». O – come dicono gli americani – è un “tree hugger”, uno che le piante ha perfino il vizio di abbracciarle: gira il mondo per incontrare le gigantesche sculture arboree sparse nei posti più improbabili, interpreta le storie che i tronchi possono raccontare e per gli adulti un po’ bambini organizza escursioni da turismo silenzioso e contemplativo. Un globetrotter e un filosofo. Perché un albero lega la terra al cielo; incute soggezione eppure è una presenza rassicurante; e quando lo accarezzi, ti esprime la sua gratitudine.
Basta incontrarlo. Invitarlo ad accontentarsi di indicare il bello che è qui, vicino a noi, anche in questa Lombardia poco tutelata dagli umani e massacrata dal cemento. Non si lascia pregare. Cita gli orti botanici di Brera, Pavia e Brescia. Elenca i parchi che spesso incorniciano pregevoli residenze: le ville reali di Milano e Monza, Fonte Viva a Luino, Ponti, Mirabello e Panza a Varese, Melzi a Bellagio, Montereggio a Casatenovo, Olmo a Como, Vigoni a Menaggio. E disegna la sua geografia delle emozioni. Il Bergamasco con il “cedro dell’Himalaya” di Sombreno (loc. Paladina), 120 anni per 37 metri di altezza e 680 centimetri di circonferenza e la “farnia” del Castello di Marme a Filago, venti metri svettanti e oltre 7 metri di pancia. Il Bresciano, con i pini silvestri nel Parco dell’Adamello e il faggio di Sonico con età superiore ai 200 anni. Il Comasco, con lo strepitoso “cedro del Libano” di Villa Olmo, 810 cm. in largo e lo spettacolare esemplare di “Ragulon” nel parco della Comunità Montana Alpi lepontine, in Val Menaggio. E ancora: il pioppo nero di Cremona (quartiere Cambonino) e il “gelso bianco” del Santuario del Tommasono a Pandino; l’impressionante platano di Villa Sommi Picenardi a Olgiate Molgora, nel Lecchese; l’“olmo montano” di Lodi; e il millenario “castagno” di Ponti a Brallo, nel Pavese. Senza scordare il “gelso bianco” di Ponte in Valtellina, il “castagno” a Grosio (loc. Bedoglio) e lo scenografico “cedro del Libano” di Villa Mirabello a Varese.
Aggrappato alla terra come le radici che tanto ama eppure sensibile come una vecchia pellicola a 1000 Asa, Tiziano Fratus prepara il suo prossimo viaggio, chissà, forse in Madagascar, dove il francese Gilles Gautier consacra la sua vita ai baobab della Valle di Tsaranoro. Ma si commuove anche parlando dei secolari alberi di Villa Olmo e Villa Mirabello, citando radici, racemi e venature che hanno cadenzato la sua esistenza a pochi passi da Milano o Torino ed elogiando le virtù dei “bagolari”, gli “spacca sassi” riconoscibili dalla scorza che ricorda le zampe di elefante. Si congeda come sa fare un poeta della natura. Con parole semplici e senza nemmeno scomodare le metafore. «I grandi alberi? Passo la vita a cercarli: mi aiutano a stare bene».


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