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VISIONE CON EDITH STEIN
Nota di TF – Fin da quando vidi, poco più che ventenne, il film La settima stanza di Marta Meszaros, la figura della filosofa tedesca Edith Stein, pensatrice e donna intransigente, mi è rimasta cara. Allieva di Husserl e interessata alla fenomenologia, studia a Gottinga. Di famiglia ebrea, dopo la lettura di Teresa D’Avila si converte al crisitianesimo negli anni in cui la follia nazista inizia a travolgere l’Europa, entrando nel carmelo di Colonia nel 1934, dove prende il nome di Teresa Benedetta della Croce. Negli anni di vita carmelinata, prima a Colonia e poi a Echt, in Olanda, scrive saggi importanti quali La scienza della croce ed Essere finito ed essere eterno. Nell’estate del 1942 lei e la sorella Rosa, che si era unita nella conversione, vengono deportate ad Auschwitz. La poesia che segue riprende un episodio giovanile della filosofa, quando, credo nel 1918, visita il Duomo di San Bartolomeo a Francoforte; vede una donna entrare con una cesca o dei sacchi della spesa, inginocchiarsi per una preghiera e poi uscire. Un comportamente molto curioso e scioccante, perchè mai sarebbe stato possibile al tempio israeliano o in una chiesa luterana. Un episodio che mi ha sempre fatto sorridere, ispirando i versi che seguono.
Estratto dal volume
Interrestràre. Quaderno di meditazioni
Lindau, Torino, 2019.
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