RICORDO DI KENZABURO OE

LA SCOMPARSA DELLO SCRITTORE GIAPPONESE

E anche Kenzaburo Oe ha socchiuso gli occhi per l’ultima volta. Mi ricordo quando ne sentii parlare nel 1993. Ero un ragazzino fissato con musica e la cultura giapponese. Leggevo Kawabata, Tanizaki, Masuji, Yoshimoto e facevo incetta di – allora ancora pochi – saggi e resoconti di viaggi sul Giappone. Ascoltavo Sakamoto e la Yellow Magic Orchestra, Towa Tei e i Pizzicato Five, Monday Michiru, Kyoto Jazz Massive era uno dei miei cd preferiti. Cercavo i film giapponesi con un rabdomante cerca l’acqua. In Italia erano arrivati i primi Kitano – il successo planetario arriverà pochi anni dopo con Hana Bi – che ovviamente potevi vedere soltanto il sabato notte a Fuori orario. E poi si presenta il nobel a questo ometto con gli occhialini tondi, le sue orecchie particolari – indimenticabili – e una storia personale tragica, pittore di personaggi perdenti e perversi, in un Giappone capovolto: Kenzaburo Oe. L’università di Milano gli tributò una giornata, proiettando i film, quasi tutti in bianco e nero, tratti dalle sue storie: tragici, lotte studentesche nei tempi dello zengakuren, ordinari e grigi uomini d’azienza e dello stato schiacciati dalle convenzioni e dall’ipocrisia. Insomma, interessanti ma stranianti. Di romanzi suoi in Italia ce n’erano pochi, tradotti dalla Spadavecchia per Garzanti. E poi, alla fine, eccolo, piccoletto, pimpante, ben vestito, camicia bianca e giacca scura, ordinato ma super vivace. Quasi un bambinetto alle giostre. Quello fu il mio primo incontro con un premio Nobel della Letteratura. Qualche stagione dopo trovai il suo Hiroshima Noto, in inglese, e ne tradussi un capitolo per la rivista della scuola di scrittura Sagarana a Lucca, diretta da Julio Monteiro Martins, anche lui purtroppo scomparso. Credo fosse la prima traduzione di un brano di questo saggio in Italia. Anni dopo uscì finalmente il libro integrale, per Alet. Sono passati già trent’anni da quel giorno di sole a Milano… era tutta una festa attorno a quest’uomo così severo, quando si trattava di scrivere, ma di suo invece leggero e ironico.

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