Sentiero Bankei

VITA E PAROLE DI UN MONACO ZEN

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«Poiché la vita quotidiana è essa stessa pratica, dire da oggi inizierai a fare uno sforzo particolare per praticare (meglio) non è corretto. Ciascuno è dotato di null’altro che la mente del Buddha. Di conseguenza, se vivi sempre nella mente del Buddha Mai Nato, allora quando dormi, tu dormirai nella mente del Buddha; quando sei sveglio, sei sveglio nella mente del Buddha. Vivendo ogni giorno come un Buddha, non c’è tempo per quando non lo sei. Se sei già un Buddha, allora non c’è alcuno sforzo particolare da fare per diventare un Buddha. Quindi essere un Buddha è molto meglio che cercare di diventare un Buddha» Yōtaku Bankei [1]

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Il testo che segue è tratto dal volume Sutra degli alberi (Piano B, Pistoia, 2022).

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Parole ai passeri – Yōtaku Bankei

«Che le mie parole siano lasciate ai passeri per giocarci» diceva Yōtaku Bankei (1622-1693). La figura di questo monaco e stata per lungo tempo considerata minore, soprattutto a causa del percorso irregolare che ha seguito, nonché ridimensionata dal grande riformatore della scuola Rinzai, Hakuin. E stata invece rivalutata dallo studioso Daisetzu Teitarō Suzuki che ha definito il suo approccio uno degli sviluppi più originali dell’intera storia del “pensiero zen”.

Ci sono futuri monaci che cercano di costruire un percorso autorevole, fin dai primi passi impegnandosi ad essere accolti nei templi più rinomati. Altri invece sembrano cercare l’esatto opposto. Altri individui ancora, cercano di capire e procedono un passo alla volta, quasi seguendo il caso. Bankei, da giovane, avrebbe potuto far parte di questa terza categoria, preferisce l’autenticità di piccoli maestri isolati e disinteressati a titoli e magisteri, piuttosto che gli abati titolati negli importanti monasteri. Quando in seguito diventa un insegnante popolare e rispettato, rimane fedele a una certa semplicità e modestia, infatti non vuole che i suoi discorsi vengano imprigionati su carta; si rivolge ai monaci quanto ai laici con parole semplici e non ama l’idea di essere tramandato come un maestro. Nonostante questa sua costante opera di scoraggiamento, sono giunti fino a noi diversi sermoni che i monaci hanno “trafugato”, trascrivendoli di nascosto, durante i ritiri. Ne sono esempi i sermoni del tempio di Hamada (Ryūmon-ji) e i sermoni di Odawara (Hōshin-ji), di cui Bankei e stato abate, oltre a quelle che vengono definite zeigo, ovvero parole in liberta, appunti e altro. La sua storia e le sue parole sono disponibili in lingua inglese nei saggi The Unborn. The Life and Teachings of Zen Master Bankei, a cura di Norman Waddell e in Bankei Zen. Translations from The Record of Bankei, a cura di Peter Haskel e Yoshito Hakeda.

Muchi nasce nel villaggio di Hamada, sul mare interno, e il quarto figlio di un samurai ramingo, un rōnin. La sua e un’infanzia difficile nella quale cerca addirittura di avvelenarsi col siero di un ragno. Viene mandato a studiare i testi confuciani, nei quali incontra un’espressione che lo turba: virtù luminosa, rettitudine abbagliante. Che cos’e? La sua vera e profonda natura e retta, e positiva, e bonaria? La mente unica di cui parlano i testi e che unisce tutti gli esseri, oggi come nel passato, dove sta? Come e fatta? Che cos’e? Consulta diversi maestri ma le risposte che ne riceve lo lasciano insoddisfatto. Diventa un monaco indisciplinato ma a sedici anni incontra Umpo Zenjō (1568-1653), abate del tempio Zuiō, che insegna uno zen essenziale fatto di modestia, meditazione silenziosa e poche parole; Bankei lo interroga e il maestro gli dice che l’unico modo che esiste per capire e praticare con metodo e determinazione. Bankei resta tre anni ed e Umpo che gli attribuisce il suo nome, che vuol dire Colui che lucida a lungo la gemma della mente, in sostanza, uno spirito puntiglioso, testardo, accanito. A diciannove anni Bankei se ne va e decide di praticare in solitudine la via dell’eremita, shugyō-an, i cui ideogrammi vengono incisi su un pezzo di corteccia che appende all’entrata della sua capanna; pur di ottenere un risveglio autentico non si risparmia, evitando pero di ripetere a pappagallo i sutra o indossare le vesti. Nel 1645 Bankei torna da Umpo ma riparte poco dopo, ancora in cerca di qualcuno che lo possa favorire nell’illuminazione.

Isolatosi in una capanna vicino al castello di Akō, sul mare interno, si ammala di tubercolosi, rischiando cosi la vita; debilitato da un’alimentazione precaria, fiaccato dal freddo e dalle vesti leggere, la sua situazione sembra presagire il peggio. Un giorno sputa un grumo di sangue contro il muro, e osservandolo colare intuisce l’esistenza di quel che in seguito chiamera fu-shō / fushō fumetsu, o Mai-nato, mai venuto al mondo, mai nato e mai morto: «Tutte le cose si risolvono perfettamente nel Mai-nato» e una prima illuminazione, a cui ne segue, pochi giorni dopo, una seconda: all’alba, al profumo dei fiori di pruno che si dischiudono, le sue preoccupazioni, le sue ossessioni, le sue ansie svaniscono. Il suo animo ritrova vigore e guarisce. Appena gli e possibile si rimette in viaggio e torna da Umpo e questi riconosce la sua comprensione: «Nessuno potrà più toccarti», dice. Ha ventisei anni. Umpo consiglia a Bankei di andare dal più noto maestro dell’epoca, Gudō Tōshoku – lo abbiamo incontrato poche pagine addietro – nel suo tempio a Mino; il monaco ci va ma non lo trova, prova a consultare altri maestri ma lo deludono e allora si ritira in montagna, rientrando a Zuiō-ji nel 1650.

Fu-sho scritto da Bankei.

L’anno dopo arriva nel porto di Nagasaki una nave dalla Cina, a bordo della quale c’e un maestro di scuola Linchi, Dōsha Chōgen (1600-1661); egli si stabilisce in uno dei tre templi che gli immigrati cinesi hanno edificato nel corso degli anni Venti nell’area mercantile. Bankei lo va a incontrare. Dōsha e un maestro semplice, ha studiato sul Monte Huang-Po, e poco avvezzo alle letture dei classici ma sa parlare al cuore delle persone, senza distinzione di classe. Ovviamente Dōsha non sa il giapponese e Bankei conosce soltanto il cinese scritto, e per questo comunicano scrivendo ideogrammi su pezzi di carta. Dōsha riconosce il valore di Bankei ma si rende conto che non e ancora in grado di trasmettere lo zen. Bankei, che ha il suo caratterino, ci rimane male ma resta nel tempio. Anche in questa situazione Bankei non partecipa alle ritualità quotidiane, indispettendo gli altri monaci. Il 21 marzo 1652, meditando al buio, matura una terza illuminazione, si reca nella sala del maestro e domanda: «Qual e l’ultimo problema dello zen?» Bankei risponde con un’altra domanda, «Quale problema?» e getta via il pennello. Umpo gli offre il ruolo di monaco anziano ma Bankei rifiuta, preferendo divenire aiuto cuoco in cucina.

Nel 1653 Bankei va nei boschi della penisola di Yoshino, celebrata per le fioriture dei ciliegi, dove impara le pratiche ascetiche della via shugendō dagli uomini delle selve, gli yamabushi. In questa stagione della sua vita scrive per la prima volta la parola fushō. Poi si ritira in un eremo, il Gyokuryū, sopra Mino. Quando sta per morire, Umpo lascia uno scritto nel quale dichiara che il suo erede e Bankei. Ma anche l’altro maestro di Bankei si trova ad affrontare una situazione tragica: dalla Cina e arrivato il maestro Yin-yuan Lungch’i (1592-1673), in seguito noto col nome di Ingen, il quale desidera prenderne il posto; a quanto pare i monaci che lo assistono fanno di tutto per squalificare Dōsha, dichiarando che non ha mai ottenuto il riconoscimento di insegnante. Nel 1658 Dōsha, esasperato, torna in patria, e prima di partire dichiara che l’unico dei suoi allievi che ha appreso il suo insegnamento e Bankei. Bankei quindi unisce letteralmente Cina e Giappone, e prima dei quarant’anni riceve il sigillo da entrambe le patrie. Successivamente inizia a insegnare nei monasteri, restaurandone una quarantina, fra le località di Mino, Ozu, Hirado ed Edo. Nel 1672, a cinquant’anni, Bankei ha il grande onore di essere eletto abate del Myōshin-ji a Kyōtō, uno dei massimi templi nazionali. Nel 1683 incontra la monaca e poetessa Den Sutejo (1633–1698) della quale si innamora, e resta con lei fino alla morte. Facendo tesoro di tutto quello che ha appreso dai suoi umili insegnanti, Bankei coltiva una visione essenziale e semplice dell’esistenza, quanto della pratica aperta a tutti, ai monaci, ai laici, ai colti e agli ignoranti.

Nei suoi sermoni mostra comprensione per i monaci che si addormentano, criticando coloro che li insultano o picchiano perche sono caduti in errore: «Sia che la gente dorma o sia sveglia, lasciateli essere quel che sono. Quando sono addormentati, stanno dormendo nella Mente del Buddha; quando sono svegli, sono svegli nella Mente del Buddha. Hanno sempre dimora nella Mente del Buddha». Accetta le persone indipendentemente dalla condizione fisica, siano essi menomati o ciechi, l’unica cosa che conta e «dimorare nella Mente del Buddha Mai-nato, cosi raggiungerai la buddità in questa vita». Bankei non e “un guardiano della fede”, un tutore del “vero zen”, come altri maestri. Al pari di Ikkyū Sōjun o Tosui Unkei (1612-1683) – il primo passa la vita lontano dai monasteri che osteggia, frequentando donne e bevendo cogli amici, il secondo vive da mendicante, rifiutando di istruire allievi – Bankei e uno spirito libero e radicale, e grazie a questo diventa molto popolare. Addirittura non puniva i frequentatori dei suoi ritiri, nemmeno se si addormentavano. Non esiste luogo di pratica, per quanto mi sia dato di sapere, dove oggi un maestro non sarebbe molto più marziale e intransigente. Forse e anche per l’accettazione dei limiti delle persone che tendo a considerare Bankei come l’esponente di un buddismo zen “poco marziale”, più prossimo probabilmente al mio pacioso “andare per il mondo”. Che non vuol dire lasco o irresponsabile, quantomeno spero che cosi non sia affatto. La sua “setta” veniva chiamata anche Scuola Zen dell’Occhio Aperto, poiché, lo stesso Bankei ci dice in un suo sermone: «Quando confermate voi stessi nel Mai-nato, acquisite l’abilita di vedere dal punto in cui siete direttamente nel cuore degli altri […] Una volta che l’occhio che può vedere gli altri per quel che sono si apre in voi, potete considerare voi stessi come pienamente realizzati nel Dharma, poiché ovunque sarete diventerà il luogo di completa pienezza. Quando raggiungerete quel posto, non importa chi voi siate, sarete i veri successori del mio Dharma». Una posizione che comprensibilmente destabilizzava altri maestri, altre scuole, altri approcci più verticali alla pratica e al buddismo.

C’e un piccolo episodio della vita di Bankei che trovo singolare e che secondo me ha un senso citare in queste pagine. Ha avuto luogo nella cittadina di Mitsu: Bankei fa erigere un tempio accanto alle rovine di un monastero abbandonato. Nell’area dei lavori cresce un vecchio pino e tutti vogliono abbatterlo, ma Bankei si rifiuta: «Il tempio può essere edificato altrove, ma questo pino non può crescere facilmente cosi alto e grande. Lasciatelo vivere». Negli ultimi anni di vita, ai suoi ritiri partecipano migliaia di laici e monaci dalle diverse scuole buddiste, non male se pensiamo che questo era stato un giovane cocciuto e irrispettoso, audace, che consumava le giornate solo in una capanna e seguiva gli insegnamenti di maestri miti e modesti.

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Note

[1] Insegnamento di Bankei al Giorno del Risveglio o dell’Illuminazione del Buddha, Rohatsu (8/12), tratto da Practical Zen by Julian Daizan Skinner (editore: Singing Dragon, anno: 2017); la traduzione dal giapponese all’inglese è di Julian Daizan Skinner e Matt Shinkai Kane, la traduzione dall’inglese all’italiano di Tiziano Fratus.

[2] Le citazioni di Bankei sono tratte dalle odierne fonti principali disponibili nelle lingue occidentali: The Unborn. The Life and Teachings of Zen Master Bankei, a cura di Norman Waddell (North Point Press); Bankei Zen. Translations from The Record of Bankei, a cura di Peter Haskel e Yoshito Hakeda (Grove Press); Vivere zen. Una sintesi degli aspetti storici e pratice dello Zen di Daisetz Teitaro Suzuki (Edizioni Mediterranee); Zen Masters of Japan, a cura di Richard Bryan McDaniel (Tuttle); Crazy Clouds. Zen Radicals, Rebels & Reformers, a cura di Perle Besserman e Manfred Steger (Shambhala).

[3] Una preziosa quanto essenziale selezione di studi, materiali, saggi in lingua inglese dedicata al pensiero di Bankei è disponibile al sito internet ungherese: https://terebess.hu/zen/mesterek/bankei.html

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